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CHI INQUINA PAGA

Notizie dal gruppo 13 luglio 2016

Il nuovo editoriale della rubrica #Innovazioneambiente curata dagli esperti di diritto ambientale dello Studio Associato Zortea Sandri

Uno dei principi cardine delle politiche ambientali dell'Unione Europea (UE) è il principio “chi inquina paga”. Questa regola basilare ha trovato riconoscimento nell'attuale articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, ed è accompagnato da svariati altri principi ambientali altrettanto rilevanti: di precauzione, di azione preventiva e di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, eccetera.

Inteso ai fini preventivi quale sistema atto a far sopportare le esternalità ambientali derivanti dall'esercizio di attività d'impresa, il principio è stato in un secondo tempo interpretato come sistema atto a rispondere in fase successiva al verificarsi di un evento dannoso ed, in particolare, ai fini del risarcimento del danno ambientale.

Oggi il principio “chi inquina paga” è alla base del sistema di responsabilità civile per danno ambientale introdotto dalla Direttiva 2004/35/CE (in Italia recepito dal Testo Unico Ambientale D.Lgs. 152/2006, Parte sesta - Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente). La direttiva si propone di introdurre un sistema omogeneo di imputazione soggettiva della responsabilità.

In Italia il principio assurge peraltro a principio di carattere costituzionale poiché l'art. 117 Cost. prevede che i vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario debbano essere rispettati da Stato e Regioni.

I criteri di imputazione della responsabilità ambientale a livello nazionale si basano sulla disciplina UE secondo cui l'accertamento della responsabilità deve necessariamente basarsi sull'accertamento del nesso di causalità tra evento e danno.

Come chiarito dalla Corte di Giustizia nella causa C-378/08 (confermata dalla successiva decisione della stessa Corte, Sez. III, del 4.3.2015, causa C-534/13), conformemente al principio “chi inquina paga”, l'obbligo di riparazione incombe poi sul responsabile in misura corrispondente al contributo dato al verificarsi dell'inquinamento o al rischio di inquinamento e in base al nesso eziologico intercorrente fra le condotte di un determinato soggetto e l'inquinamento. È importante notare che il collegamento causale può venire accertato anche attraverso indizi (fatti da cui si desumono altri fatti), purché seri, precisi e concordanti. Ad esempio, in un terreno si scopre una concentrazione di fuori limite di una certa sostanza e si accerta che quella sostanza veniva usata in quel terreno solo da uno dei suoi proprietari succedutisi nel tempo.

Anche la disciplina della bonifica dei siti inquinati si basa sul principio “chi inquina paga”, in virtù del quale incombe sul responsabile di un sito contaminato l'obbligo di porre in essere le misure di sicurezza e di bonifica e, conseguentemente, di riparare il danno arrecato.

La giurisprudenza amministrativa ci offre numerose indicazioni su come raggiungere la prova del nesso tra presunto responsabile e inquinamento. Fra gli indizi ritenuti rilevanti si segnalano la vicinanza dell'impianto del presunto responsabile all'inquinamento accertato nonché la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati nell'attività del presunto responsabile.

Interessante al riguardo è la recentissima TAR Marche Sez. I n. 347 del 3 giugno 2016: “è possibile presumere l’esistenza di un nesso di causalità tra determinati operatori e l’inquinamento accertato attraverso indizi plausibili quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l'autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l'inquinamento diffuso rilevato (…).

Nel caso specifico i dati delle analisi effettuate per la caratterizzazione dell’area di competenza e in occasione delle attività successive (comprese quelle attivate spontaneamente dalla ricorrente) hanno evidenziato la contaminazione della falda con probabile presenza della sorgente all’interno del perimetro aziendale.

La ricorrente avrebbe quindi dovuto fornire, a sua volta, indizi a proprio favore quali, ad esempio, il recente insediamento in loco o lo svolgimento (nel corso del tempo) di una attività non riconducibile al settore calzaturiero o che comunque adottava cicli produttivi che non impiegavano gli inquinanti rilevati.

Non si può quindi considerare illegittima la prescrizione di eseguire ulteriori accertamenti e di porre temporaneamente in sicurezza l’area di competenza. Al riguardo va ulteriormente osservato che gli accertamenti successivi (…) rilevavano che stato di contaminazione risultava ancora grave (…).

Deve considerarsi invece illegittima l’ulteriore prescrizione (…) di presentare immediatamente un progetto di bonifica in difetto di accertamenti più precisi riguardo all’effettiva presenza di una sorgente di contaminazione all’interno del perimetro aziendale. Di conseguenza tali prescrizioni vanno annullate”.




Scriveteci! Se vi interessa l’argomento, in autunno possiamo anche organizzare un nuovo seminario sul tema.

 

Articolo a cura di Massimo Zortea e Giada Dalla Gasperina - Studio Legale Associato Zortea Sandri

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